Durante una seduta si parla. O meglio: è il paziente che parla, mentre il mio lavoro è quello di ascoltare. Al centro si trova la parola di chi domanda. L’inconscio è fatto di linguaggio, di parola appunto. E’ un discorso che affonda le sue radici nella nostra storia individuale e condiziona fortemente il modo con cui ci approcciamo agli altri e al mondo. Dunque parlando scopriamo il nostro inconscio, la nostra verità più intima, straniera a noi stessi. Parlando mettiamo in forma pensieri e sensazioni non ben articolati, li possiamo esteriorizzare, ne incontriamo la consistenza quasi fisica, materiale. Ci rendiamo conto che non si tratta solo di parole ma c’è ben altro in gioco. La “regola fondamentale” è quella di dire tutto ciò che passa per la mente senza preoccuparsi troppo delle concatenazioni logiche e del valore morale di ciò che si dice. Chiaramente a quest’invito a “dire tutto” non può seguire un’immediata e totale apertura. Sarebbe impossibile. Ma quello che veramente conta è la possibilità che sperimentiamo di farlo. Non esistono molti luoghi in cui apprezziamo tale libertà di dire.